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Pubblicato da La gioia della preghiera

 

Preghiera a San Giuseppe Maria Rubio Peralta

 

Padre di misericordia, che hai fatto San Maria José,

Sacerdote, Ministro della Riconciliazione e padre dei poveri,

fa' che, riempiti dello stesso spirito,

possiamo aiutare i bisognosi e gli emarginati

manifestando tutto il tuo amore.

Per Cristo nostro Signore. Amen.

(Chiedere la grazia richiesta).

 

Cuore di Gesù, ho fiducia in te.

Cuore di Gesù, ho fiducia in te.

Cuore di Gesù, ho fiducia in te.

 

 

Fare quello che Dio vuole e volere quello che Dio fa

VITA DEL SANTO

 

San José Maria Rubio Peralta è stato canonizzato a Madrid il 4 maggio 2003 da papa Giovanni Paolo II, insieme ad altri quattro santi spagnoli. Nacque a Dalías nella provincia di Almería in Spagna, il 22 luglio 1864 da umili e pii genitori contadini, la sua famiglia era composta da sei figli viventi, altri sei erano prematuramente morti. 
Trascorse una felice infanzia e nel 1875 iniziò gli studi medi ad Almería, per poterli proseguire nel seminario della diocesi, perché ormai era chiara la sua chiamata al sacerdozio.  Nel 1878 si trasferì nel Seminario maggiore di Granada per gli studi di filosofia, teologia e diritto canonico. Otto anni dopo nel 1886 si recò a Madrid dove completò gli studi, conseguendo le lauree nelle suddette specializzazioni; venne ordinato sacerdote il 24 settembre 1887 a Madrid.  Per due anni fu viceparroco a Chinchón e parroco per un anno a Estremera; nel 1890 fu chiamato dal suo vescovo a ricoprire vari incarichi nella Curia di Madrid; fu esaminatore sinodale, professore di metafisica, latino e teologia pastorale nel Seminario, notaio curiale e cappellano maggiore delle monache di S. Bernardo. 
Fece anche nel 1905 un pellegrinaggio in Terra Santa, ma nel 1906 egli volle realizzare la forte inclinazione a farsi religioso nella Compagnia di Gesù, che aveva sempre avuto e che per tante circostanze negative, non poté farlo fino ad allora. 
Entrò a 42 anni nel noviziato dei Gesuiti di Granada, emettendo i voti il 12 ottobre 1908; dopo un altro anno di studi e un breve periodo di lavoro fra i Gesuiti di Siviglia, passò a svolgere il suo ministero pastorale nella residenza dei padri a Madrid, dove rimase fino alla morte, avvenuta ad Aranjuez il 2 maggio 1929. 
Formato alla scuola degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola, con una profonda vita spirituale alimentata soprattutto dall’amore per l’Eucaristia e dalla devozione al Cuore di Gesù.  Fin dalle prime ore del mattino, lunghe file di fedeli assediavano il suo confessionale, riconciliare i penitenti fu uno dei suoi impegni maggiori; predicò il Vangelo in forma semplice, priva di retorica, toccando i cuori come il santo Curato d’Ars. 
Fu ricercatissimo per gli esercizi spirituali ad ogni categoria di persone e per l’assistenza spirituale nelle comunità religiose, sempre numerose in Spagna. Con coraggioso zelo si dedicò alla cura pastorale dei quartieri più poveri ed abbandonati della città, si meritò l’appellativo di ‘apostolo di Madrid’, particolare impegno profuse nella formazione dei laici, affinché si comportassero da buoni cristiani in famiglia, nelle loro professioni e nella vita sociale. 
Promosse instancabilmente l’opera delle “Marias de los Sagrarios” (Marie dei Tabernacoli) e quella de “Los Caballeros y las Señoras de la Guardia de Honor”. Specie negli ultimi anni di vita, la sua attività pastorale fu contrassegnata da numerosi fatti prodigiosi, che gli valsero il titolo di taumaturgo. 
Suo nonno sostiene che, chi vivrà, vedrà questo suo nipotino diventare un grande, talmente grande che di lui parleranno tutti, ma intanto le cose non stanno proprio così. La stima che i superiori hanno per lui è piuttosto scarsa, forse anche a causa del suo carattere serio, schivo, un po’ introverso fino a rasentare la timidezza. Giuseppe Maria Rubio Peralta, spagnolo dell’Andalusia, ha una famiglia numerosa alle spalle e due genitori, semplici contadini, che lo educano alla fede e alla preghiera. Dato che dimostra segni inequivocabili di vocazione sacerdotale, uno zio canonico si interessa di lui e lo fa studiare in privato, per prepararlo ad entrare in seminario. Dopo questi, è un altro canonico a prenderlo sotto la sua protezione, ma è così autoritario ed asfissiante che sarebbe meglio perderlo che trovarlo. E’ lui che si ostina a farlo studiare anche dopo che, nel 1887, è ordinato prete: il giovane ubbidisce, e dato che non ha problemi con lo studio, si laurea a pieni voti in Diritto Canonico. Poi lo fa partecipare ad un concorso da canonico ed è parecchio deluso nel sapere che non lo ha superato. Giovane prete, per due anni è viceparroco e, subito dopo, parroco per un anno, fino a quando cioè il suo vescovo gli affida vari incarichi nella Curia di Madrid: esaminatore sinodale, professore di metafisica, latino e teologia pastorale nel Seminario, notaio curiale e cappellano maggiore delle monache di S. Bernardo. E’ facile scorgere, dietro a queste varie nomine, la “longa manus” dell’onnipresente “canonico-protettore”, che non è mai soddisfatto dei traguardi raggiunti dal suo pupillo. Anzi, comincia anche a preoccuparsi, quando si accorge che questi prende una “cattiva piega” e frequenta ambienti perlomeno dubbi: sempre più insistentemente, infatti, gli raccontano del fatto che abitualmente cerca gli straccivendoli, raduna i ragazzi di strada, fa catechismo alle ragazze povere. Sono bastati pochi mesi in parrocchia perché la gente lo ritenga un santo; tutti sono ammirati nel vederlo pregare così tanto e nel sapere che corre tutto il giorno per aiutare qualcuno. Quando poi non si sa proprio più dove trovarlo bisogna andarlo a cercare nel confessionale e sono tante le volte in cui il “canonico-protettore”, con il tovagliolo al collo, deve andare a prenderlo con la forza, perché i penitenti non gli lascerebbero neppure mangiar pranzo. Anche per questo canonico un po’ invadente arriva però il momento di chiudere gli occhi in pace e il nostro prete, che ormai ha più di 40 anni, può finalmente disporre della sua vita. Per prima cosa decide di realizzare il sogno, coltivato fin dagli anni del seminario, di diventare gesuita: lo attrae la spiritualità ignaziana, che ha già fatto propria e che ha cercato di trasfondere sia con la predicazione degli esercizi e sia nella direzione spirituale. I Gesuiti lo accettano, mai però come “professo dei quattro voti”, ma semplicemente come “coadiutore spirituale” . C’è il fondato sospetto che in questa decisione abbia giocato non poco la gelosia di qualche confratello, che non riesce a darsi ragione di come quel prete, all’apparenza insignificante, riesca ad avere tanto seguito. Come predicatore, infatti, è un disastro, eppure le sue prediche sono capite da tutti,. seguite da tutti e convertono molti: dicono che le sue parole semplici e disadorne siano come una lama che penetra nelle coscienze; così, quando celebra, tutti hanno l’impressione che parli con qualcuno. E davanti al suo confessionale si formano code anche di tre ore. E la gente dice, anche sotto giuramento, che attorno a lui si verificano cose prodigiose, come bilocazioni, telepatie, preveggenze, profezie. Tutto ciò si può spiegare semplicemente così: quel prete ha messo la sua vita nelle mani di Dio, vuole sempre “fare quello che Dio vuole e volere quello che Dio fa”, prega ininterrottamente e si lascia “mangiare” dagli altri. Quando non è in chiesa lo trovi nei bassifondi di Madrid, in mezzo ai poveri, per i quali si fa in quattro a cercare cibo e lavoro. Fonda anche una comunità di “Marie” in costante adorazione davanti al tabernacolo, pensa alla consacrazione nel mondo come ad una nuova forma di santità laicale, si fa formatore di coscienze che poi nella persecuzione degli Anni Trenta gli faranno onore anche fino al martirio. I suoi ultimi anni sono contrassegnati dalle incomprensioni dei superiori, che lo isolano sempre più. Muore il 2 maggio di 80 anni fa, dopo aver accuratamente strappato tutti i suoi appunti spirituali nell’illusione di farsi dimenticare presto. Invece, Giovanni Paolo II° lo beatifica nel 1985 e lo canonizza nel 2003, perché di simili luci il mondo ha bisogno sempre. Per questo è necessario metterle sul candeliere: perché possano illuminare tanti. Autore: Gianpiero Pettiti

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